Nel riprendere il contorno delle maschere del Canto III/1, ho figurato gli usurai in base alla (non)definizione dantesca riguardo ad anime senza volto. Uniformi nella loro indefinitezza, confermano la loro (non)caratterizzazione da parte di Dante tramite il motivo del ‘fumetto’ ripetuto tre volte. Li distinguiamo soltanto in base agli emblemi dei loro banchi di pegno (invero un po’ come accade oggi). Tre di loro si meritano una menzione specifica: i Gianfigliazzi e gli Ubbriachi fiorentini, e gli Scrovegni di Padova. I primi due erano rispettivamente guelfi e ghibellini, a dire dell’equanime odio di Dante nei confronti di quella loro professione: il poeta nomina le loro insegne araldiche delle quali io ho solo fatto cenno per evitare di rendere appariscente questo cupo insieme di dannati. L’emblema col maiale è ripreso da quello del Canto VI/1 dove sta a significare un peccato sostanzialmente analogo all’avarizia e alla gola. Dopo viene trasformato al fine di illustrare la mai cessata funzione del porco nelle operazioni di banca – come tutti quelli della mia generazione, anch’io da piccolo avevo un salvadanaio a forma di maiale. L’anatra è dotata di un uovo, simbolo di fortuna favorevole nelle fiabe, mentre il leone l’ho ricavato dall’emblema della mia banca, la Midland (cf. Canto XXVIII/4) che purtroppo mancò di deporre al momento giusto l’Uovo d’Oro che sarebbe servito a facilitare la realizzazione del libro di partenza nelle sue ultime fasi – gli inizi di quella lavorazione erano stati in verità sostenuti da un direttore, Mr. Barratt, il quale però andò in pensione troppo presto. Attorno al loro simbolo stanno forme come di monete che hanno lo scopo di connettere fra loro le tre immagini. I tassi di interesse al tempo di Dante oscillavano di solito fra il 20%-40%: si veda allora l’elemento che sta sopra le figure delle vittime dell’usura, prese nei ceppi a formare quella parola USURA che anticipa il riferimento a Ezra Pound dell’illustrazione successiva.