Il frontespizio. Dante nello studio

Nell’edizione originale questa è una serigrafia a ventisette colori, liberamente ispirata a una piccola riproduzione di un dipinto – pur esso, credo, attribuito con una certa libertà di giudizio – di Luca Signorelli. Partito per l’esattezza da questa fonte, ho introdotto una finestra cieca in affaccio su un paesaggio quasi metafisico, comprensivo di uno spuntone roccioso (derivato da una foto di nudo che stava in una rivista porno intitolata «In Depth» [‘Nel profondo’]) davanti al quale si staglia un cipresso: tradizionale simbolo di morte piegato qui però a una forma e una posizione che ricordano un fallo. L’accostamento si aggancia comunque all’idea per cui ogni viaggio nell’Oltremondo infero altro non è che uno stupro di Madre Terra – vd. Canto XXXIV/3 –, il cui ingresso boschivo all’interno del paesaggio è la famosa Selva Oscura (cf. Canto I/1). C’è anche, in emersione dal mare, la Montagna del Purgatorio, che sembra una mammella, complementare all’immagine del promontorio in declivio (essendo il Purgatorio il luogo più specifico del nutrimento spirituale). I volumi sulla destra offrono con la loro presenza una chiave interpretativa e una specie di repertorio coloristico per l’insieme della tavola, mentre i titoli dei volumi, AMOR, ROMA e MARO, sono l’uno anagramma dell’altro. MARO identifica ovviamente Publio Virgilio Marone, la guida del poeta: per certi aspetti rappresenta l’Inferno ma a un livello più profondo ne sarebbe la Fonte, l’Origine stessa. Il colore lo lega al mare (la somiglianza del suo nome al latino mare dà fondamento a uno dei classici giochi di parole danteschi) e il calamaio a sua volta risulta immagine metaforica per la fonte dell’ingegno di Dante. ROMA, per analogia di colore con la Montagna del Purgatorio, rappresenta la dicotomia fra Impero e Chiesa che è tipica di tutto il pensare politico dantesco. Ritroviamo lo stesso colore nel vocabolo DUX (DVX), che rileva l’aspirazione dantesca alla venuta di una guida capace di unificare l’Italia e tracciare una via per il riscatto nazionale (o meglio sovranazionale, secondo le prospettive del tempo): luogo classico per l’esposizione di questa materia, in Inferno, sarà la profezia del Veltro (cf. Canto I/4); ad esso andrà perciò riferita quella lettera “V” additata da Dante nel libro di consultazione e pure nel libro che ha davanti a sé.

Il fatto che Dante guardi a sé stesso come al vero esecutore della sua profezia è implicito sia in questo collegamento sia nella presenza di un identico colore per la corniciatura del ritratto inserito nel libro sopra il quale è poggiata la mano.  Detto libro – il poeta lo guarda o fors’anche spinge oltre lo sguardo – ha il titolo AMOR, quindi si tratta del libro del paradiso del Divino Amore. Ogni suo atto o inclinazione punta ad esso (la posa del dito dice peraltro di un legame forte con l’ambizione terrena) e alla Croce dello stesso colore che sta sul muro. In questo insieme di corrispondenze visive, ammesso che Dante stia guardando al suo passato come appunto fa chiaramente nella sostanza del poema, una sfumatura di ironia si potrà cogliere immaginando che la “V” del libro d’amore si riferisca anche al Canto V, dove è materia di amore carnale (al quale certo il poeta non fu estraneo nella fervida sua giovinezza).

La pagina di sinistra del libro aperto presenta l’immagine piena, ripetuta in un angolo con colori assai più varii e luminosi: a significare che artista e poeta – figura questa silente e innocente – coincidono integralmente con l’opera, lasciando dietro sé, della sua stessa esistenza, ben poco. I pittogrammi presenti sull’altra pagina rinviano invece alla natura ermetica dei testi danteschi, pieni di significati allegorici e anagogici piuttosto misteriosi.

Il ritratto di Dante viene dalla sua più tradizionale iconografia, col profilo aguzzo che ben conosciamo per via di inveterata consuetudine rappresentativa, sostenuta in particolare dalla maschera mortuaria conservata a Firenze (forse un falso), dal busto Torrigiani nonché dai dipinti di Raffaello e di Botticelli. Le mani sono le mie, prese dal vero per quanto adattate alla configurazione geometrica della tavola. Potremmo definire tutto questo nei termini di uno schema iconografico di partenza, poi vòlto a una coerenza di rapporti bidimensionali grazie a una griglia impostata matematicamente – già usata nel disegno preparatorio – fondata sulla Sezione Aurea; ma anche attraverso un altro schema interno determinato sulla base della quadratura del lato più corto. Ogni punto di giunzione e di origine, come pure gli estremi di ogni dettaglio del disegno lineare convergono su un reticolo di segni generati da questo schema in forza del canone proporzionale che sta qui a fondamento di tutto.

Canto I/1
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