Canto XVIII/3

Nel corso di un mio recente viaggio in Italia nel 1982 sono stato a Padova per visitare la Cappella degli Scrovegni, fatta costruire da Enrico Scrovegni, figlio di quel Rinaldo che figura tra gli usurai di questo Canto. Fu sempre lui a commissionare a Giotto l’esecuzione dello splendido ciclo affrescato. Dante e Giotto erano amici, e il poeta passò per Padova proprio nei tempi in cui il pittore lavorava alla Cappella. È probabile che abbiano discusso a lungo e, dal momento che erano entrambi artisti, l’argomento delle discussioni sarà stato anche il denaro; nessun dubbio poi sul fatto che abbiano scagliato frecciate ironiche circa l’essere quella gloria che Giotto stava esaltando il frutto dell’usura: quell’usura che era a fondamento della stessa commissione giottesca di quel momento. Ezra Pound dedica all’usura un’intera sezione dei suoi Cantos – omaggio proprio a questa parte dell’Inferno – affermando che “Non è per via di usura che…” (e qui cita tesori di arti e mestieri). Nel rigettare nell’occasione questa affermazione di Pound, mi sono preso la libertà di una parodia a livello di stile, suggerendo che noi possiamo a tutt’oggi vedere una delle meraviglie dell’arte che era stata prodotta come riparazione per le pratiche finanziarie poco trasparenti che ne avevano permesso la realizzazione. Fu grazie ai proventi dell’usura che Giotto poté dipingere la volta celeste, dalla quale ho ricavato le caratteristiche forme a stella dell’artista, implicitamente anticipatrici delle stelle che chiudono ogni parte della visione escatologica di Dante (cf. l’ultima immagine di questo volume). L’acquarello cui mi sono ispirato l’ho eseguito partendo da alcuni schizzi a penna fatti durante quella visita, con l’aggiunta di qualche dettaglio di colore che viene dalle cartoline acquistate alla Cappella. Sia l’edificio sia le stelle riflettono a loro volta il collegamento di Dante col numero nove.

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