Art e connect sono parole costantemente ripetute nel libro d’artista di Tom Phillips intitolato A Humument, e costituiscono un prezioso filo d’Arianna con cui orientarsi nella fervida attività dell’artista inglese.
Un’espressione, art connects, che si presta a molteplici interpretazioni: un ponte intertestuale tra lavori diversi, un collegamento tra l’arte e la contemporaneità, un’immagine anacronica che riemerge nel tempo assumendo significati diversi, una deterritorializzazione dei significanti grafici che diventano parole dipinte.
Nell’Inferno Phillips tesse una tela di fitti rimandi, in cui i personaggi, gli autori e le figure tendono a sovrapporsi, spiegandosi vicendevolmente. Lo conferma l’immagine del frontespizio che, citando il celebre affresco di Luca Signorelli nella cappella di San Brizio nel Duomo di Orvieto, ritrae Dante intento a leggere una copia miniata della sua stessa opera, recante il suo ritratto. Una mise en abyme che si complica ulteriormente se teniamo conto che le mani di Dante sono proprio quelle di Phillips. L’artista inglese appare dunque come in filigrana, suggerendo una doppia immedesimazione: quella con Signorelli in quanto pittore e interprete della Divina commedia (le mani sono lo ‘strumento’ dell’artista), e quella con Dante come autore di un’opera d’arte totale, autoriflessiva, iniziata «nel mezzo del cammin di nostra vita» e destinata a non interrompersi mai.
Quello elaborato da Tom Phillips è un Atlante del XX secolo, un affascinante caleidoscopio della contemporaneità, in cui disegni e schizzi dal vero stanno accanto a francobolli, ritagli di giornali, biglietti di ingresso ai musei, registrando fedelmente il processo creativo dell’artista. La modernità, con le sue infinite sfaccettature, confluisce nell’elaborazione delle illustrazioni dantesche, vita e opera diventano due affluenti di un medesimo fiume.
Secondo un procedimento tipicamente postmoderno, Phillips rielabora fonti, non solo prettamente storico-artistiche, di diversa natura, passando dai romanzi-collage di Max Ernst ad autori come William Burroughs e John Cage, che al Black Mountain College aveva, tra l’altro, introdotto Robert Rauschenberg alla cultura giapponese dello Zen, degli haiku e dell’I Ching (cui Phillips fa riferimento nella prima illustrazione della Divina commedia).
Molteplici sono, di conseguenza, i possibili accostamenti visivi, e sono sufficienti minime variazioni per stravolgere l’orizzonte interpretativo: così, se da un lato la ripetizione delle lettere alla base dell’illustrazione dedicata alla selva oscura sembra ricordare le serie dedicate ai numeri e alle lettere dell’alfabeto di Jasper Johns, dall’altro, nella selva dei suicidi del Canto XIII/1, le arpie si tramutano nei Corvi sul campo di grano di Van Gogh del 1890: un omaggio al grande artista olandese che pure, ‘once or twice’ doveva esser passato davanti allo Austin Furniture Repository, dove Phillips avrebbe comprato, molti anni dopo, la sua copia di A Human Document.
Giorgio Bacci
Il frontespizio. Dante nello studio